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- Theodor Kallifatides, autore greco-svedese con al suo attivo oltre 40 opere, è stato tradotto solo recentemente in Italia.
- Contadini e signori, appena uscito da Crocetti Editore, dipinge un affresco della vita in un villaggio del Peloponneso durante l’occupazione.
- In Una vita, ancora (Voland Edizioni, 2024), Kallifatides racconta la sua crisi creativa e il suo ritorno alle origini come fonte di ispirazione.
Di Theodor Kallifatides sono stati tradotti in italiano soltanto tre libri. Se lo si cerca sul web, la pagina Wikipedia che lo riguarda è in inglese. E questo nonostante la sua veneranda età (87 anni) e la sua vasta produzione principalmente in svedese. Emigrato in Svezia nel 1964 all’età di 26 anni, Kallifatides ha costruito infatti una carriera letteraria di successo scrivendo principalmente nella lingua del paese che lo ha accolto.
Tuttavia, il suo legame con la Grecia e la sua lingua madre è rimasto sempre vivo, un filo invisibile che lo ha tenuto ancorato alle sue radici. Questo legame si manifesta in modo particolarmente intenso nel suo secondo libro tradotto in Italia, Una vita, ancora (Voland Edizioni, 2024), opera autobiografica in cui l’autore racconta la sua crisi creativa e il suo ritorno alle origini come fonte di ispirazione. Il primo era stato L’assedio di Troia, pubblicato da Solferino nel 2020, mentre l’ultimo è Contadini e signori, appena pubblicato da Crocetti Editore nella traduzione di Andrea Berardini.
Contadini e signori di Theodor Kallifatides
In Contadini e signori, primo capitolo di una trilogia scritta negli anni Settanta e tradotta in italiano solo adesso, Theodor Kallifatides dipinge un affresco vivido della vita in un piccolo villaggio del Peloponneso durante l’occupazione italiana e tedesca. Attraverso uno sguardo corale, l’autore intreccia tragedia e ironia, memoria e invenzione, offrendo una riflessione universale sulla violenza, la paura, la resistenza e la capacità di raccontare la vita senza retorica.
Il romanzo va dentro le contraddizioni insite nella condizione umana, mettendo in luce le dinamiche complesse tra contadini e padroni, occupanti e gente comune. Kallifatides affronta temi difficili come la violenza e la perdita, ma lo fa con un tono ironico in cui commedia e tragedia si confondono. Come ha avuto modo di spiegare in un’intervista lo stesso autore, questa capacità di mescolare riso e pianto è parte integrante della tradizione narrativa greca, un’eredità culturale che gli è stata tramandata dai suoi antenati:
Nel mio paese la gente parlava così. Mio nonno, un narratore nato, parlava così. Anche mia madre. Niente lacrime senza risate.
- Che bello scoprire un autore che sa unire ironia e profondità...😊...
- Non mi convince l'idea di usare l'ironia per trattare temi così delicati...🤔...
- Kallifatides ci mostra come la crisi possa essere un'opportunità...💡...
L’ironia di Kallifatides come arma di difesa
L’ironia, nel contesto del romanzo, diventa uno strumento di difesa, un modo per sopravvivere al dolore e per affrontare la realtà con lucidità. Kallifatides, nella medesima intervista citata sopra, si dichiara un ammiratore di Roberto Benigni – e in particolare del suo film La vita è bella – con cui riconosce un’affinità nel modo di raccontare storie con un approccio mediterraneo, che intreccia cioè l’umorismo con la tragedia.
Il villaggio di Ialos, descritto nel libro, è un luogo tipico e universale allo stesso tempo, un microcosmo in cui si riflettono le dinamiche sociali e politiche del mondo intero. Kallifatides non ha dovuto inventare nulla, perché ha attinto alla sua esperienza personale, al suo villaggio natale, apportando solo alcune modifiche per esigenze editoriali. I personaggi che popolano il romanzo sono figure archetipiche – il sindaco, il prete, il pazzo del villaggio – ma allo stesso tempo sono individui reali, con le loro debolezze, le loro paure e le loro aspirazioni.
Il ritorno alle origini di Theodor Kallifatides
Una vita, ancora racconta la crisi creativa di Kallifatides e il suo tentativo di superarla attraverso il ritorno alle origini. Dopo una vita trascorsa in Svezia, scrivendo in svedese, l’autore si è trovato improvvisamente incapace di scrivere, sprovvisto di quella ispirazione che non l’aveva mai abbandonato fino ad allora. Questo blocco creativo lo ha spinto a interrogarsi sulla sua identità, sul suo rapporto con la lingua e con la sua terra natale.
Da qui il ritorno in Grecia, che si rivela un’esperienza trasformativa. Kallifatides si confronta con una realtà diversa da quella che aveva lasciato, un paese segnato dalla povertà e dalla crisi economica. Tuttavia, è proprio in questo contesto che ritrova la sua vena creativa e che riscopre la bellezza e la forza della lingua madre.
Scrivere di nuovo in greco, dopo tanti anni, per Kallifatides è stato un atto di liberazione, un modo per riappropriarsi della sua identità e per dare voce alle sue emozioni più profonde. Come ricorda l’autore, ogni lingua è unica e irripetibile, e non è possibile scrivere lo stesso libro in due lingue diverse.
Per orientarsi fra testo e contesto
Theodor Kallifatides ha pubblicato oltre quaranta libri tra narrativa, poesia e saggistica. La sua scrittura è caratterizzata da uno stile elegante e raffinato, da una profonda sensibilità umana e da una capacità di cogliere le sfumature più sottili dell’esistenza. Ben venga perciò la recente attenzione dell’editoria italiana nel valorizzare un autore dallo sguardo bruciante sulla condizione umana, in grado di far comprendere i classici, come nel suo primo romanzo tradotto in Italia, L’assedio di Troia. Ambientato nel 1945, vede gli studenti di un villaggio rifugiarsi in una grotta per sfuggire ai bombardamenti. E con essi, un’insegnante che racconterà loro di un’altra guerra combattuta dagli Achei sotto le mura di Troia. In un richiamo al passato che illumina inevitabilmente il presente.