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Hotel Roma Pierre Adrian

«Hotel Roma» di Adrian: gli ultimi giorni di Pavese

Un libro svela il periodo che precedette il suicidio dello scrittore, offrendo una prospettiva intima sul suo tormento interiore e sulle ragioni del suo gesto.
  • Hotel Roma di Pierre Adrian ripercorre gli ultimi nove giorni di vita di Cesare Pavese.
  • Pavese fu trovato senza vita nella stanza 346 dell’Hotel Roma di Torino il 27 agosto 1950.
  • Nel suo Mestiere di vivere teorizzò che «non ci si uccide per amore di una donna».

Hotel Roma di Pierre Adrian, tradotto per Atlantide da Maria Sole Iommi, sarà presentato il prossimo 16 maggio al Salone del Libro di Torino. Il volume è una mappa intima e ragionata degli ultimi nove giorni di vita di Cesare Pavese, trascorsi a Torino immediatamente prima del suo suicidio. Un gesto che, malgrado il tempo trascorso, continua a suscitare interrogativi e a dividere l’opinione pubblica.

Adrian, attraverso una narrazione che fonde racconto, memorialistica e reportage, affronta il tema del suicidio con delicatezza e profondità, partendo da un dolore personale per arrivare a una riflessione universale. L’autore ci accompagna nell’Hotel Roma, oggi Hotel Roma e Rocca Cavour, situato in piazza Carlo Felice a Torino, dove Pavese pose fine alla sua esistenza il 27 agosto 1950.

Adrian invita il lettore a calarsi nell’atmosfera della Torino del 1950, una città ancora segnata dalle ferite della guerra, ma proiettata verso lo sviluppo economico. Un’esperienza quasi mistica, un percorso spirituale alla ricerca di un uomo e di un’epoca. L’autore riflette sul significato di un atto estremo, trasformandolo in una sorta di testamento, in una dichiarazione d’amore estrema.

Quella stanza 346 dell’Hotel Roma

A settantacinque anni dalla sua scomparsa, la figura di Cesare Pavese è ancora avvolta da un’aura di mistero e fascino. Il suo suicidio ha contribuito a creare un mito letterario che spesso rischia di oscurare la complessità dell’individuo e del talento.
Il 27 agosto 1950, Pavese fu trovato senza vita nella stanza 346 dell’Hotel Roma, accanto a una copia dei Dialoghi con Leucò e a un biglietto con le parole: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». Un messaggio enigmatico, che ha dato adito a diverse interpretazioni. Alcuni vi hanno visto un gesto di pacificazione, altri, al contrario, una sciagura, una condanna verso un mondo che non era riuscito a capirlo.

Davide Lajolo, nella sua biografia Il vizio assurdo. Storia di Cesare Pavese (pubblicato per la prima volta nel 1960) racconta gli ultimi giorni dello scrittore, caratterizzati da un crescente sentimento di solitudine e sconforto. Pavese, il sabato precedente al suicidio, chiese alla sorella Maria di preparargli una piccola borsa per un breve viaggio, un’abitudine che non destò preoccupazione. Si recò poi alla redazione dell’Unità, dove chiese a un giovane collega, Paolo Spriano, una sua fotografia, scegliendo quella in cui il suo volto appariva più triste.

In albergo, Pavese richiese una camera con telefono ed effettuò diverse chiamate, tra cui quella a Fernanda Pivano, sua ex studentessa e amore platonico. Nessuno, però, fu in grado di percepire il suo stato d’animo, il suo disperato bisogno di aiuto.

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  • Pavese, un gigante letterario... ❤️...
  • Il suo gesto rimane incomprensibile... 🤔...
  • E se Pavese avesse voluto solo... 🚪...

Le ragioni di un addio (secondo Pavese)

Quali furono le cause che spinsero Cesare Pavese a compiere un gesto così estremo? Le spiegazioni sono molteplici e complesse. Alcune le attribuiscono alle delusioni sentimentali, in particolare alla fine della relazione con l’attrice americana Constance Dowling, a cui dedicò la raccolta poetica Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Tuttavia, limitare il suicidio di Pavese a una semplice vicenda amorosa sarebbe riduttivo e banale.
Piuttosto che a causa della fine di una relazione, l’atto autodistruttivo può accadere quando un affetto, di qualsiasi genere, ci pone di fronte alla nostra debolezza, alla nostra fragilità, alla nostra vulnerabilità, all’amore stesso, alla disillusione, al destino ineluttabile, alla morte, come teorizzò Pavese in persona.

Come scrive lo stesso Pavese nel Mestiere di vivere, «Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, amore, disillusione, destino, morte». Il suicidio, quindi, come l’esito di una profonda crisi esistenziale, di un’incapacità di attribuire un significato alla vita e al mondo circostante.

Ma le radici del gesto di Pavese vanno ricercate anche nella sua tormentata coscienza politica. Lo scrittore provava rimorso per non aver partecipato attivamente alla Resistenza, per essersi rifugiato tra le colline durante la guerra partigiana. Un senso di colpa che lo accompagnò per tutta la vita e che contribuì ad alimentare il suo disagio interiore.

Inoltre, Pavese era profondamente turbato dalla situazione politica internazionale, in particolare dallo scoppio della guerra in Corea nel giugno 1950. Un evento che lo riempì di timore e di sfiducia, facendogli temere un nuovo conflitto globale.
Infine, il contatto con il circolo letterario romano, in seguito alla vittoria del Premio Strega con La bella estate, aveva accresciuto il suo disgusto verso se stesso e verso un ambiente che considerava falso e superficiale.

Per orientarsi fra testo e contesto

Il suicidio di Cesare Pavese rimane un evento tragico e complesso, che continua a interrogarci sulla natura umana, sulla fragilità dell’esistenza e sul ruolo della letteratura come strumento di conoscenza e di autoanalisi. Hotel Roma di Pierre Adrian ci offre un’opportunità preziosa per ripercorrere gli ultimi giorni dello scrittore, per immergerci nella sua interiorità e per cercare di comprendere le ragioni della sua scelta.

La figura di Pavese è indissolubilmente legata alla sua opera, in particolare al Mestiere di vivere, un diario intimo in cui lo scrittore ha riversato le sue angosce, le sue riflessioni e le sue passioni. Un libro che, a distanza di decenni, continua a essere letto e amato da migliaia di lettori in tutto il mondo.

Per approfondire la conoscenza di Cesare Pavese, oltre al Mestiere di vivere, si consiglia anche la lettura delle sue opere più importanti, come Paesi tuoi, La casa in collina, La luna e i falò e Dialoghi con Leucò. Opere che ci restituiscono un ritratto vivido e intenso di un uomo e di un’epoca, e che ci invitano a riflettere sul significato della vita e della morte.


Articolo ibrido frutto dell’AI, ma revisionato da un essere umano.(scopri di più)
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