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- Era il 10 dicembre 1936 quando Luigi Pirandello lasciava questo mondo.
- Oggi, in un contesto polarizzato, Così è (se vi pare) rimane il manifesto più lucido del relativismo conoscitivo.
- Cosa possiamo portare con noi nel 2025 dalla saggezza di un uomo nato nell’Ottocento?
Era il 10 dicembre 1936 quando Luigi Pirandello lasciava questo mondo, chiedendo nel suo testamento l’ultimo atto di ribellione contro le forme sociali:
Sia lasciata passare in silenzio la mia morte… Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni.
Voleva tornare cenere, disperdersi nel vento, liberarsi finalmente da quel “teatrino” che aveva così magistralmente descritto. Oggi, a 89 anni di distanza, mentre il mondo corre verso il dominio totale della tecnocrazia, la voce del Nobel siciliano non è solo attuale: è profetica. In un’epoca in cui costruiamo identità digitali e affidiamo le nostre scelte agli algoritmi, Pirandello ci offre ancora la chiave per decifrare l’inquietudine moderna.
Il dualismo tra vita e forma in Pirandello

La lezione fondamentale di Pirandello ruota attorno al dualismo tra vita e forma. La vita è un flusso continuo, magmatico, incandescente; la forma è la “trappola” in cui cerchiamo di bloccare questo flusso per renderlo accettabile socialmente (il marito, il professore, l’onesto cittadino).
C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno. (Uno, nessuno e centomila)
Pirandello ci ha insegnato che l’identità granitica è un’illusione. Ha smontato l’io cartesiano (“Penso dunque sono”) sostituendolo con un io frammentato, che esiste solo nello sguardo altrui. Mattia Pascal ci ha mostrato l’impossibilità di uscire dal sistema sociale se non “morendo”; mentre Vitangelo Moscarda, il protagonista di Uno, nessuno e centomila, ci ha rivelato che non ci conosciamo affatto. Oggi, in un mondo polarizzato, Così è (se vi pare) rimane il manifesto più lucido del relativismo conoscitivo: ognuno possiede la sua verità, ed è inutile cercare di imporne una universale.
Se Pirandello tornasse a rinascere oggi
Se Pirandello vivesse oggi, probabilmente non scriverebbe di teatro, ma scriverebbe del metaverso e dei social media. La nostra società tecnocratica ha amplificato esponenzialmente le dinamiche pirandelliane. Oggi, la “forma” che imprigiona la “vita” non è più solo la convenzione borghese, ma è il dato, in virtù del quale ci riduciamo a essere “centomila”: siamo l’avatar su LinkedIn (professionale), la foto filtrata su Instagram (esteta), il commento rabbioso su X o Facebook (polemista).
La tecnologia ci costringe a cristallizzarci in profili statici. L’algoritmo esige coerenza (se ti piace A, deve piacerti B), negando la natura umana che è per definizione contraddittoria e fluida. Pirandello ci avverte: attenti a non diventare schiavi della vostra stessa proiezione digitale.
La lanterninosofia dello smartphone

Ne Il fu Mattia Pascal, Pirandello parla dei “lanternini” che noi accendiamo per illuminare il buio intorno a noi, proiettando le nostre credenze. Oggi, il nostro “lanternino” è lo schermo retroilluminato dello smartphone. Viviamo in bolle (filter bubbles, secondo la nota definizione di Eli Pariser) che ci confermano solo ciò che vogliamo vedere, isolandoci in una “incomunicabilità” che Pirandello aveva già diagnosticato. Parliamo tutti, siamo iperconnessi, eppure – come i sei personaggi in cerca d’autore – siamo disperatamente soli, incapaci di farci comprendere davvero per ciò che abbiamo dentro.
Cosa possiamo portare con noi nel 2025 dalla saggezza di un uomo nato nell’Ottocento? Sicuramente la consapevolezza dell’umorismo come antidoto all’odio. In un’epoca di gogne mediatiche e shaming online, recuperare lo sguardo umoristico pirandelliano significa recuperare l’empatia: capire il dramma dietro la maschera altrui prima di giudicare. Inoltre, in una società che monitora ogni nostra mossa e archivia ogni aspetto della nostra vita social, Pirandello ci invita a rivendicare il diritto di cambiare, di non essere definiti per sempre da un singolo atto e a cominciare a togliere i filtri dalle nostre interazioni, affinché siano più autentiche.
Per orientarsi fra testo e contesto
A 89 anni dalla sua morte, Luigi Pirandello non è un reperto da museo, ma un compagno di viaggio scomodo e necessario. La sfida che ci lascia non è quella di distruggere le maschere – operazione impossibile – ma di esserne consapevoli. Di sapere che noi non siamo il nostro profilo social, né il nostro lavoro, né l’opinione degli altri.
Noi siamo la vita che scorre sotto ogni apparenza, inafferrabile e libera. E, aggiungo, desiderio di infinito ed eternità che non possiamo mai celare, che brucia sotto la cenere.








