C’era una volta il blog, spazio indipendente del pensiero critico
Intervista a Francesco Scatigno, fondatore di Magozine, strumento che ha tra i suoi scopi «contribuire a una maggiore consapevolezza personale e collettiva».
Nato nel 2007, Il Mago di Oz ha avuto fin dall’inizio l’obiettivo di proporre un punto di vista alternativo rispetto alla narrazione ufficiale.
Si occupa di controinformazione e controcultura, ma non sposa teorie infondate o dottrine complottistiche.
In un’era dominata dalle grandi piattaforme, Magozine rinuncia alla pubblicità per garantire la qualità dell’esperienza di lettura.
In principio era Internet. Scritto proprio così, con la “I” maiuscola come fosse una divinità. E in quanto divinità, capace di generare nuovi esseri. Tra questi i forum, l’email, i blog per poi arrivare ai social media. Oggi i forum sono pressoché scomparsi, mentre le email continuano a resistere come strumento di lavoro, seppure snobbati dalla generazione Z. In merito ai social, nulla e nessuno è potuto sfuggire alla loro pervasiva onnipresenza, che si è tradotta in una consegna prona di ogni istante della nostra vita (pubblica e privata).
E i blog? Che ruolo hanno avuto ad esempio nel favorire percorsi culturali? Nel proporre la lettura di un libro o l’approfondimento di questioni di interesse comune? Di certo, nella loro genesi non sono stati ossessionati dai like né si sono dovuti piegare allo storytelling secondo l’accezione del «vendere storie» ricordata da Byung-Chul Han. Per capire che cosa è stato, e che cosa è ancora davvero un blog, bisogna parlare con chi c’era.
Francesco Scatigno ha fondato Il Mago di Oz quando aveva solo 24 anni, nel 2007, tre anni dopo che Barletta, la sua città, passasse dalla provincia di Bari a quella attuale di Barletta-Andria-Trani. È lui stesso a spiegare le ragioni per cui decise allora di dare vita a un blog: «Magozine nasce dal desiderio di comunicare e condividere riflessioni che portassero a una maggiore consapevolezza individuale e collettiva. L’obiettivo era – e resta – quello di costruire un percorso di crescita personale, politica e sociale attraverso lo scambio di idee e la partecipazione attiva. Non un semplice blog, ma uno spazio in cui la condivisione diventa strumento per alimentare il pensiero critico e la sensibilità verso il mondo che ci circonda».
«Ho sempre partecipato attivamente a collettivi libertari ed ecologisti, e nel tempo mi sono occupato di varie iniziative culturali e sociali: dalla rassegna sul consumo critico all’organizzazione di un festival rock nazionale per band emergenti. Oggi lavoro nella grande distribuzione, ma continuo a coltivare la passione per la lettura, la scrittura e l’attivismo attraverso Magozine e altri gruppi locali».
Chi collabora attualmente con Magozine?
«Sono persone che ho conosciuto nel tempo, in un momento in cui ho capito che Magozine non poteva più restare un progetto individuale. Portare avanti un blog oggi – senza che diventi una fonte di reddito – è un impegno che può reggersi solo se condiviso. Chi collabora con Magozine è prima di tutto un grande lettore e appassionato, ognuno con i propri interessi, che contribuiscono a rendere le pubblicazioni più ricche e diversificate».
Il blog – si legge sulla pagina di presentazione – è «completamente autogestito e autofinanziato». C’è sensibilità da parte dei vostri donatori?
«I primi donatori del blog sono spesso gli stessi collaboratori e redattori, che partecipano anche alle spese. La sensibilità da parte dei lettori esterni è ancora limitata. Per questo stiamo valutando nuove iniziative per rendere la raccolta fondi più efficace. Continuiamo comunque a rifiutare la pubblicità sul sito, perché riteniamo che comprometta la qualità dell’esperienza di lettura».
Magozine si occupa di controcultura e controinformazione. Qual è il nesso con il libro e il film da cui prende nome?
«Abbiamo dedicato una pagina del blog al simbolismo del Mago di Oz. In quella storia, attraverso il coraggio, l’amore e il pensiero critico (leone, spaventapasseri e uomo di latta), si può intraprendere un cammino di liberazione dal dominio dell’ego. Allo stesso modo, il nostro blog vuole essere uno strumento per stimolare il pensiero critico, per coltivare valori diversi da quelli dominanti e contribuire a una trasformazione personale e collettiva».
Uno dei progetti del blog è “Samizdat” che, fra l’altro, ha preso a cuore come noi le sorti di Boualem Sansal. In cosa consiste?
Francesco Scatigno
«Samizdat è un progetto in trasformazione. L’idea iniziale era quella di creare un premio per scrittori emergenti nel campo della letteratura sociale, che valorizzasse non solo la qualità stilistica, ma anche il messaggio trasmesso. Immaginavamo un premio costruito in rete, con il supporto di altri blog e librerie indipendenti, per premiare il vincitore acquistando numerose copie del libro. Un riconoscimento concreto e dal basso. Per ora Samizdat è diventato un bollettino che cerca di crescere, stringere nuove collaborazioni e magari un giorno trasformarsi in qualcosa di diverso da ciò che avevamo immaginato. Mi piacerebbe inoltre che il blog diventasse un punto di riferimento per la promozione di libri significativi, anche attraverso eventi, presentazioni e iniziative che escano dal solo ambito digitale».
Nel 2007 parlare di controcultura e controinformazione probabilmente era originale. Oggi, nell’era del complottismo imperante, questi concetti non rischiano di essere associati a un generico calderone senza alcun fondamento epistemologico?
«È una riflessione che abbiamo affrontato spesso, soprattutto durante la pandemia. Fare controinformazione non significa sposare teorie infondate o complottismi. Al contrario, significa avere gli strumenti per smascherare anche quei deliri e, allo stesso tempo, analizzare criticamente le scelte istituzionali. Tra il negazionismo sterile e le politiche che hanno impoverito la sanità pubblica c’è un ampio spazio di riflessione da coltivare. Fare controcultura oggi è più che mai necessario, ma richiede rigore, onestà intellettuale e spirito critico».
Qual è l’andamento del traffico che registrate sul sito?
«Secondo i dati di Google Analytics, abbiamo registrato un calo del 13% tra gennaio e aprile rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. La maggior parte del traffico arriva comunque dai motori di ricerca, segno che il blog mantiene un buon posizionamento. Il problema, probabilmente, è che dedichiamo molte energie ai contenuti e meno alla SEO o alla promozione sui social. Dovremmo trovare un equilibrio migliore tra qualità editoriale e strategie di visibilità».
Dal punto di osservazione di un blogger con quasi 20 anni di esperienza, c’è (oppure c’è stato) qualche esperimento analogo in Italia particolarmente significativo?
«In questi anni ho visto tanti blog scomparire, e ogni volta è stato un dispiacere. La rete si è impoverita, lasciando spazio a pagine social che svolgono funzioni simili ma che sono fragili, legate agli algoritmi e alle decisioni dei grandi proprietari delle piattaforme. In questo senso, è fondamentale continuare a investire su spazi indipendenti. Un esempio virtuoso è La bottega del Barbieri, che lavora in modo simile al nostro: un progetto collettivo, animato da spirito critico e passione condivisa».
Qual è il futuro di Magozine nell’epoca dell’intelligenza artificiale generativa?
«Abbiamo già fatto qualche esperimento, come interviste immaginarie a figure storiche quali Maria Montessori o Karl Marx. Credo che l’intelligenza artificiale possa offrire strumenti utili, ad esempio per generare immagini, per sintetizzare documenti complessi o per supportare la ricerca. L’ho usata, ad esempio, per leggere e riassumere una lunga relazione universitaria sul ponte sullo Stretto. Dopo averne verificato la correttezza, ho potuto concentrare l’articolo sugli aspetti più significativi della critica. Se utilizzata con criterio, senza sostituirsi alla riflessione umana, può essere uno strumento utile».
Articolo scritto interamente da un essere umano “a mano”, cioè senza l’uso di AI.(scopri di più)
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