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- Il 10 dicembre 2025 è morta la scrittrice britannica Sophie Kinsella, al secolo Madeleine Sophie Wickham.
- Il suo successo planetario è esploso nel 2000 con I Love Shopping (The Secret Dreamworld of a Shopaholic).
- Il cinema ha amplificato la sua voce, rendendo Becky Bloomwood un volto globale grazie all’adattamento del 2009.
Il mondo delle lettere oggi è un po’ meno colorato, e decisamente più silenzioso. Sophie Kinsella – al secolo Madeleine Sophie Wickham – ci ha lasciato il 10 dicembre 2025, all’età di 55 anni. La scrittrice britannica ne è andata dopo una lunga battaglia contro un glioblastoma, diagnosticatole nel 2022, affrontato con quella stessa disarmante miscela di coraggio e autoironia che ha reso le sue eroine immortali.
A volte la critica accademica non ha saputo cogliere la genialità delle sue pagine, ignorando, di conseguenza, la portata sociologica e antropologica della sua opera. Kinsella non ha solo venduto milioni di copie; ha fotografato, con la precisione di un cecchino travestito da amica pasticciona, le nevrosi della donna contemporanea.
Il successo planetario di Sophie Kinsella

Il suo successo planetario esplose nel 2000 con I Love Shopping (The Secret Dreamworld of a Shopaholic). In Rebecca “Becky” Bloomwood, Kinsella non ha creato solo una macchietta ossessionata dalle sciarpe di Denny & George, ma un archetipo del nuovo millennio. Becky è l’incarnazione del conflitto post-femminista: una donna che naviga nelle acque turbolente dell’indipendenza economica e professionale, mentre viene costantemente bombardata da imperativi di consumo che promettono una felicità illusoria.
Dietro le risate suscitate dalle sue lettere di scuse alla banca – capolavori di retorica dell’assurdo – si nascondeva un’analisi lucidissima del capitalismo emotivo. Becky comprava per lenire l’ansia, per “diventare” la persona che la sciarpa le prometteva di essere. In questo senso, l’opera di Kinsella è stata uno specchio (a volte deformante, ma sempre veritiero) delle nostre fragilità.
Il fallimento quotidiano come forma d’arte
Se Bridget Jones aveva sdoganato la “singletudine” imperfetta, Sophie Kinsella ha elevato il fallimento quotidiano a forma d’arte. Le sue protagoniste – da Emma di Sai tenere un segreto? a Samantha di La regina della casa – sono donne intelligenti che inciampano. Inciampano nei tacchi, nelle bugie bianche, nelle aspettative sociali.
Il significato profondo della sua opera risiede proprio qui: nella validazione dell’imperfezione. In un’epoca dominata dalla performance e dall’immagine curata sui social media, Kinsella ha dato il permesso di essere disordinate, ansiose e fallibili. Ha trasformato la “sindrome dell’impostore” in un motore narrativo, suggerendo che, alla fine, nessuno di noi ha davvero la situazione sotto controllo, e va bene così.
Sophie Kinsella, non solo commedie

Il cinema ha amplificato la sua voce, rendendo Becky Bloomwood un volto globale grazie all’adattamento del 2009 con Isla Fisher di I Love Shopping, e portando sullo schermo Sai tenere un segreto? nel 2019. Sebbene le trasposizioni abbiano talvolta accentuato alcuni toni a scapito della satira sociale, hanno confermato l’universalità delle sue storie.
Ma Kinsella non si è fermata alla commedia pura. Negli ultimi anni, la sua scrittura si era fatta più introspettiva. Con Sono esaurita (The Burnout), aveva affrontato il tema della stanchezza mentale collettiva, intercettando ancora una volta lo Zeitgeist, lo spirito del tempo. E infine, con il suo ultimo, straziante Cosa si prova (What Does It Feel Like?), pubblicato dopo la diagnosi, ha tolto ogni maschera, trasformando la sua stessa mortalità in narrazione, senza mai perdere quella grazia leggera che era la sua firma.
Per orientarsi fra testo e contesto
Sophie Kinsella ha ricevuto premi prestigiosi, dal Betty Trask Award (vinto giovanissima con il suo vero nome e uno stile molto più cupo) al Glamour Woman of the Year, ma il suo riconoscimento più grande resta l’affetto viscerale di una comunità globale. Oggi non piangiamo solo una scrittrice di bestseller. Piangiamo una donna che ha saputo usare l’umorismo come scudo e come ponte, insegnandoci che ridere delle proprie disgrazie non è superficialità: è la forma più alta di resilienza.
Becky Bloomwood avrebbe probabilmente affrontato questo giorno comprando un paio di scarpe scomode e bellissime, ma noi, orfani della sua “mamma” letteraria, ci limitiamo a riaprire quelle pagine, grati per ogni singola risata che ci ha regalato.





