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Renato Serra

L’esame di coscienza di Renato Serra

Un testo pressoché dimenticato nei libri di scuola, ma che è costantemente edito, specie dagli anni Duemila. Una testimonianza ancora valida sull’assurdità della guerra.
  • Torna in libreria Esame di coscienza di un letterato di Renato Serra che, a distanza di 110 anni, continua a conservare il suo spessore.
  • Pubblicato su «La Voce» prima della morte, avvenuta nel 1915, il testo fa emergere le disillusioni di fronte a un evento catastrofico come la guerra.
  • Il testo è un monito capace di scardinare ogni presunta convinzione, specie quando quest’ultima si erge a irrazionale certezza.

Renato Serra, l’umile intellettuale che per certi versi ha fondato in Italia la critica stilistica, è una figura emblematica del primo Novecento. Il cesenate sarebbe morto, poco più che trentenne (era il 20 luglio del 1915, motivo per cui quest’anno ricorrono 110 anni da allora), per una pallottola austriaca in fronte, sul Monte Podgora.

Renato Serra nel primo Novecento

La storia di Renato Serra è strettamente legata a quella delle riviste letterarie protonovecentesche. Una storia che ci riconsegna l’immagine dei primi giovani intellettuali, impegnati nel fare i conti con una situazione geopolitica e culturale che avrebbe lasciato un’impronta tragica e la cui eco si fa sentire fino a oggi. Dapprima con quella che è stata definita la “guerra dei trent’anni” del Novecento, poi gli strascichi di confini irrisolti e trattati di pace, esito di quella, che spaccarono il mondo in due. Elemento divisivo che, sotto nome diverso, ancora permane.

Nel leggere i fermenti di quell’epoca è impossibile non vedere i tentativi esistenziali e filosofici di porre un ubi consistam, vano anticorpo al nichilismo, ora con la matta ideologia, ora con la dissoluzione di tutto ciò che poteva richiamare al passato, ora con soluzioni neokantiane o di renaissance cristiana o spiritualista.

Dall’interventismo all’Esame di coscienza

Serra, dopo aver abbracciato la causa interventista e aver nutrito, come la maggior parte degli intellettuali del tempo (fra cui Ungaretti), l’idea romantica della guerra come possibilità di riscatto o di “fratellanza”, poco prima della sua morte pubblica, fra le pagine de «La Voce», il suo Esame di coscienza di un letterato. Un testo pressoché dimenticato nei libri di scuola, ma che è costantemente edito, specie dagli anni duemila. L’ultima ristampa, del 2025, si ha grazie ai tipi di Edizioni Efesto, con l’introduzione di Nicola De Cilia.

Mirabilmente analizzato da Mario Isnenghi ed Ezio Raimondi, il quale ha giustamente posto l’attenzione sul simbolismo delle descrizioni del cesenate, il testo fa emergere le disillusioni di fronte a un evento catastrofico come la guerra: non valgono motivazioni ideologiche, o convinzioni personali di fronte alla barbarie della morte violenta, che coglie indistintamente trincee o divise di colore diverso.

Guerra e morte secondo Renato Serra

In una realtà dove l’umano sembra soccombere di fronte all’avanzata della condizione di miseria e precarietà che tutto deforma, Serra, come ha sottolineato Alessandro Ramberti, non può fare coincidere la verità con l’oggettività positivistica o l’onnipotenza idealistica. Tutto si riduce a fotogrammi, in cui il grido di senso si schianta con il silenzio che rimbomba nell’anima. Un silenzio che corrisponde con la natura rattrappita, esausta, spoglia, con i rami tesi in alto, come una preghiera muta.

Sono parole, le sue, che gridano verità al cospetto di Dio e degli uomini, macigni contro le roboanti fanfare futuriste o la “morte bella”, rispetto a chi urlava la battaglia come preambolo di felicità e cambiamento contro la grettezza del mondo sognato dal nemico o consegnato dalla tradizione. Sono parole che vanno citate, le sue:

«La guerra è un fatto, come tanti altri in questo mondo; è enorme, ma è quello solo; accanto agli altri, che sono stati e che saranno: non vi aggiunge; non vi toglie nulla. Non cambia nulla, assolutamente, nel mondo. Neanche la letteratura […] È inutile aspettare delle trasformazioni o dei rinnovamenti dalla guerra, che è un’altra cosa: come è inutile sperare che i letterati ritornino cambiati, migliorati, ispirati dalla guerra»

Per orientarsi fra testo e contesto

Renato Serra cita «quel povero caro» Charles Péguy, che la guerra ha fermato: «L’ha coricato sul suolo del suo paese, calmo, fermo, superiore a tutti i nostri movimenti di un’ammirazione inutile come i rincrescimenti e le resipiscenze».

In un mondo sempre più fragile, e in cui la pace o i tentativi di dialogo si riducono a semplice flatus vocis, l’Esame di coscienza di un letterato diventa, allora, un monito, capace di scardinare ogni presunta convinzione, specie quando quest’ultima si erge a irrazionale certezza che l’altro è l’ostacolo da abbattere, in nome di una giustizia univoca o di confini che a nulla valgono di fronte a un’umanità affratellata nell’infinità del cosmo. Perché, come scriveva Serra, nella guerra, «né il sacrificio né la morte aggiungono nulla a una vita, a un’opera, a un’eredità».


Articolo scritto interamente da un essere umano “a mano”, cioè senza l’uso di AI.(scopri di più)
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