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Il teatro arabo di Hanane Hajj Ali, dove tutto è politica

Intervista a Daniela Potenza, la ricercatrice che ha fatto conoscere in Italia uno dei casi più interessanti di drammaturgia libanese contemporanea.
  • Jogging della performer e attivista Hanane Hajj Ali quest’anno è andato in tournée per la prima volta in Italia.
  • Daniela Potenza, oltre a tradurre il testo in italiano, ha contribuito a far conoscere l’artista libanese nel nostro paese.
  • La performance esprime la tradizione drammaturgica araba più autentica senza disdegnare una certa sensibilità europea.

L’incontro tra Hanane Hajj Ali (foto di apertura di Marwan Tahtah) e Daniela Potenza era scritto nel destino. La prima è una drammaturga, performer, docente e attivista libanese. A partire dal 2012 ha dato vita a uno spettacolo, Jogging, ispirato al Masrah al-Hakawati, teatro di narrazione da lei co-fondato. La seconda è una ricercatrice di Lingua e letteratura araba che attualmente insegna all’Università di Messina. «Doveva succedere – spiega Daniela Potenza – perché il teatro occupa un posto molto importante nella letteratura araba, che nasce innanzitutto come poesia e nasce nella penisola araba in una situazione diglossica, cioè una divisione tra lingua scritta e parlata». Una differenza fondamentale per capire anche il teatro di oggi, compreso quello di Hajj Ali, perché nel teatro arabo l’influenza del parlato si registra fin dalle origini.

Il cantastorie arabo all’origine del teatro

C’è anche un’altra influenza che non va sottovalutata, quella religiosa dell’Islam, con cui la lingua araba (e anche il teatro) ha uno stretto legame a partire dal VII secolo dopo Cristo, vale a dire dall’espansione del culto diffuso dal profeta Muhammad. Prima di allora, i poeti erano soprattutto nomadi beduini che componevano per celebrare le proprie gesta. «In arabo il cantastorie si chiama hakawati – continua Potenza -, ma in realtà agli inizi esisteva il rawi, un “trasmettitore” di qualsiasi testo, più che un cantastorie come lo intendiamo noi». Non è l’unica parola su cui è importante porre attenzione, per evitare che la traduzione dia adito a fraintendimenti. La stessa letteratura araba, studiata con il filtro dell’Occidente, ha dovuto soggiacere alle categorie a noi più congeniali. Complice soprattutto le definizioni che ci arrivano dalla Poetica di Aristotele sul testo drammatico, e sulla tragedia in particolare.

Aristotele o del teatro arabo incompreso

Il fatto che nel mondo arabo la tragedia – intesa nell’accezione aristotelica con tanto di catarsi eccetera – non esistesse come categoria nel testo teatrale, ha spinto a considerare il teatro arabo come qualcosa di inferiore, di minore. Ciò non toglie che alcuni recenti studi affermano al contrario che la tragedia fosse presente nel mondo arabo.

«Agli inizi del Novecento – sottolinea la ricercatrice – si sosteneva che il teatro propriamente arabo fosse nato nell’Ottocento. Come se i paesi arabi non avessero avuto delle forme teatrali prima di allora e il teatro vero e proprio fosse quello moderno, portato ad esempio da Napoleone in Egitto per offrire questo tipo di svago ai suoi soldati. Da lì in poi gli egiziani, ma anche i siriani, avrebbero adottato la loro versione di Molière, Shakespeare o di altri autori europei. Per certi versi, invece, il teatro arabo risulta più inclusivo e ampio di quello occidentale, perché meno formalistico».

Anche dal punto di vista etimologico, la parola masrah, con riferimento al luogo in cui si svolgono le rappresentazioni, nasce in epoca moderna.

Jogging. Teatro in divenire di Hanane Hajj Ali

Jogging, lo spettacolo di Hanane Hajj Ali, si inserisce nel teatro dei cantastorie, su cui innesta un forte sperimentalismo moderno. Nel 2025 è stato messo in scena per la prima volta in Italia, facendo tappa a Roma, Napoli, Catania e Noto. Da quando, nel 2012 (anno che coincide con lo sbocciare della primavera araba) ha esordito in Libano, è stato interpretato più di 350 volte. Non solo è cresciuto dai 30 minuti degli inizi alle attuali quasi due ore, ma ha partecipato a svariati festival internazionali negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Europa.

Questo non gli ha impedito di essere tacciato di takfir, cioè empietà o apostasia, soprattutto in patria. Era inevitabile, visto che Jogging si concentra su tre tabù, presenti non solo in Libano ma dappertutto: sesso, politica e religione. Tabù che vengono toccati attraverso la storia personale della stessa Hajj Ali, intrecciata con quella di donne realmente esistite. A cui si aggiunge il richiamo alla vicenda della Medea classica.

Un teatro intimo e politico insieme

Questo mix di pubblico e privato, in cui la sfera intima diventa cronaca/narrazione e viceversa, potrebbe richiamare a prima vista il famoso monologo Lo stupro di Franca Rame. In realtà, Daniela Potenza tiene a rimarcare la dimensione politica del testo di Hajj Ali che, non a caso, è in continuo divenire. Come la cronaca, appunto: «L’interpretazione di Medea non attinge tanto alla Medea greca, quanto alla sua versione latina, le cui radici sono indubbiamente politiche, perché il gesto di uccidere i figli è il frutto di una condizione malata della società, di una situazione invivibile».

In questo l’artista libanese probabilmente trae spunto dalla cultura europea, poiché la sua vita si divide tra Beirut e la Francia. Rimane tuttavia profondamente araba nell’affrontare il trauma, discostandosi dalla scrittura del trauma tipicamente europea, che si configura come «scrittura dell’indicibile, della reticenza». Una scrittura che non può non avere come spartiacque l’Olocausto.

Per orientarsi fra testo e contesto

Allo spettacolo del 22 giugno 2025, che si è tenuto al teatro Tina di Lorenzo di Noto, ho chiesto ad Hanane Hajj Ali se il teatro avesse il potere di far cambiare le cose nel mondo (arabo e non solo). Lei mi ha risposto scrivendo una dedica sul libro, edito da Terra Somnia, che riporta il monologo Jogging in arabo e italiano con la traduzione curata da Daniela Potenza:

Il teatro non può cambiare il mondo, ma genera domande che possono cambiare gli esseri umani.

La semplificazione, da cui anche la mia domanda non era esente, è uno dei problemi che oggi impediscono di comprendere fenomeni sempre più complessi. «Il fatto è che la complessità non appartiene a questa società – dice in conclusione Daniela Potenza -. Tutti gli intellettuali arabi che hanno a che fare con l’Europa e che vengono intervistati da giornalisti occidentali, dicono spesso che bisogna concentrarsi sui dettagli. Come fa ad esempio la scrittrice Adania Shibli nel suo Un dettaglio minore (La Nave di Teseo, 2021) o il libanese Elias Khoury in La porta del sole (Feltrinelli, 2014)». E come fa, ovviamente, Hanane Hajj Ali in un’opera che si arricchisce nel tempo, dettaglio dopo dettaglio.


Articolo scritto interamente da un essere umano “a mano”, cioè senza l’uso di AI.(scopri di più)
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