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- Quindici anni fa si intitolava U zoppu e fu rappresentata nella Casa circondariale di Siracusa.
- Lo storpio di Lemno, la versione da poco pubblicata da Rubbettino, non disdegna accenti lombardi e milanesi.
- Un’opera “viva” in grado di leggere e rappresentare ogni contesto, rispetto al quale il testo risulta inevitabilmente legato.
Che la vita e il testo siano fortemente intrecciati lo avevano capito già i greci, e che la letteratura, poi, si sposi con il pulsare della contingenza, sublimandola, è stata una esigenza della critica letteraria moderna, già a partire dai primi anni del novecento. Mutatis mutandis è quello che è successo a Lo storpio di Lemno di Carmelo Greco, volume appena pubblicato da Rubbettino.
La nascita dell’opera U zoppu

Intitolata U zoppu, l’opera è nata circa 15 anni fa, su sollecitazione della professoressa Manuela Caramanna, e cucita su misura per ambiente e attori: la Casa circondariale di Siracusa e un gruppo di detenuti, dentro un progetto posto in essere dalla docente. Molte le questioni interessanti che potrebbero essere evidenziate. Ci limiteremo a sottolinearne alcune, che possono aiutare nella comprensione del testo e della sua genesi.
In primis, la riduzione di genere (dalla tragedia alla commedia) della famosa opera di Sofocle, Filottete. Molti i riferimenti letterari che si potrebbero citare, alcuni dei quali ripresi ad arte da Greco: dalle commedie plautine, alla parodia del mito – complice il tratto ironico – presente in Ariosto, fino alle trasposizioni settecentesche, sia in ambito veneto con il “nuovo” teatro goldoniano e la commedia dell’arte, sia in quello siciliano (come non ricordare Domenico Tempio). Con Tempio l’autore ha in comune, in maniera particolare, la raffinatezza del siciliano illustre presente nella prima versione del testo.
Da U zoppu a Lo storpio di Lemno
In secundis, il lettore sappia che dalla prima messa in scena in poi la pièce in due atti è stata riscritta ponendo attenzione, ancora una volta, ad ambiente scenografico e attori, subendo una rivisitazione linguistico-dialettale che se da un lato ricorda l’evidenza del fatto che i personaggi hanno vita propria, come sottolineava Aleksandr Sergeevič Puškin ne La figlia del capitano, dall’altro segue l’impulso teorico della linguistica contemporanea (Noam Chomsky in testa, con la sintassi generativa, le lingue naturali e la creatività naturaliter insita nella capacità del parlante).

Da U zoppu in cui prevaleva l’inflessione catanese, si è passati a Lo storpio di Lemno, la versione pubblicata da Rubbettino, che non disdegna accenti lombardi e milanesi. Il risultato è quello di un’opera “viva” in grado di leggere e rappresentare ogni contesto, rispetto al quale il testo risulta inevitabilmente legato.
E non poteva essere diversamente, dato che il lavoro prende le mosse da una rivisitazione del Filottete e, ipso facto, dal sistema di valori che esso ha marcato nella storia culturale dell’Occidente: l’avversione per un’intelligenza cinica, meschina e crudele (come quella di Odisseo nell’opera). Al suo posto, la pietas, l’accoglienza del diverso, la disperazione nel dolore e la redenzione, grazie a un gesto di bontà e di riconoscimento. Florilegio di valori che vanno affermati, come riporta la quarta di copertina del volume, in qualunque contesto, sia esso il teatro di una Casa circondariale, sia quello di una cittadina.
Per orientarsi fra testo e contesto
La scelta della tragedia di Sofocle, quindi, non è casuale, vuoi per la profondità del messaggio che essa veicola, vuoi perché, nella trasposizione di genere, la riduzione in commedia non violenta il testo originario, poiché esso, caso unico nel tragediografo greco, ammette il lieto fine, con l’intervento del Deus ex machina e la guarigione del protagonista.
Infine, ci preme sottolineare come l’opera di Carmelo Greco, pur introducendo nuovi personaggi rispetto alla fonte o rovesciandone, come è inevitabile, la vis drammatica, riesce ad essere “corale”, non riducendo mai a macchietta nessuno dei protagonisti. I quali, alla fine, possono essere delineati come una “compagnia” in cammino verso lo scioglimento finale, che è l’inevitabile piacevolezza di un testo che sa parlare a tutti, anche nei rispettivi dialetti.
Nella foto di apertura, un momento della rappresentazione del 22 luglio 2025 al Teatro d’estate di Noto, in provincia di Siracusa