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- Il romanzo di esordio di Martina Pucciarelli, Il Dio che hai scelto per me (HarperCollins, 2025), è tra i finalisti del Premio Bancarella 2025.
- L’autrice intraprende un viaggio lungo un percorso di affrancamento dai Testimoni di Geova, di cui ha fatto parte per 29 anni.
- Ogni capitolo del romanzo si chiude con una parola seguita dalla definizione tratta dal dizionario Treccani.
Martina Pucciarelli conosce bene i Testimoni di Geova per averne fatto parte sino all’età di 29 anni. Il suo romanzo di esordio, Il Dio che hai scelto per me (HarperCollins, 2025), finalista al Premio Bancarella, è una versione rielaborata di questa esperienza. L’autrice intraprende un viaggio tortuoso lungo un percorso lastricato di rinunce e regole ferree nel quale si ritrova per volontà dei genitori. Sono loro, infatti, ad aver scelto un giorno la Verità (in corsivo nel libro) per motivi che la Pucciarelli non è in grado di spiegare. L’unica ipotesi, forse, è che nel 1986 abbiano optato per questa organizzazione allo scopo di «vedere realizzato il desiderio di un mondo più giusto». Su Geova, scrive Pucciarelli, avrebbero riversato «tutte le paure e i sogni più segreti: la vita e la felicità per sempre, la pace in terra, la fratellanza mondiale, il superamento della morte e del dolore». Peccato che, come spesso accade, i sogni si possono trasformare in incubi.
Quando Martina Pucciarelli incontrò Geova

È quello che accade alla protagonista, Alessandra, alter ego di Martina Pucciarelli. Fin dalla più tenera età, ha dovuto imparare a convivere con Geova e, soprattutto, con i dettami che la Congregazione impartisce ai suoi membri. Tra i più elementari – ma ovviamente indigesti per una bambina – il divieto di festeggiare i compleanni, propri e altrui, insieme a quello di celebrare le classiche festività cristiane come il Natale e la Pasqua. Proibizioni a cui Alessandra si sottopone con mitezza, nella ricerca costante di approvazione da parte del padre e della madre. Quest’ultima in particolare funge da specchio deformante di quello che la protagonista non vorrebbe essere, tanto da alimentare un senso di abbandono con cui Alessandra farà i conti anche dopo aver tagliato il cordone ombelicale con i Testimoni di Geova. Il che però non la spingerà mai a porre la domanda fondamentale ai suoi: ma perché tu e papà avete abbracciato la Verità?
Le parole salvifiche del vocabolario
Se questa domanda rimane senza risposta, complice anche l’essere diventata una disassociata (con cui i Testimoni, parenti compresi, smettono di intrattenere qualsiasi rapporto), il libro invece è prodigo di dettagli nel ripercorrere le tappe dell’affrancamento di Alessandra. Segno che Martina Pucciarelli attinge in questo caso al suo vissuto personale e alla sua relazione tormentata con Geova e i suoi adepti. Prima ancora che negli incontri con persone diverse da quelle della setta, è nel vocabolario che Alessandra trova i mattoni su cui costruire il suo itinerario di liberazione. Per riappropriarsi della sua vita, occorre ritrovare intanto il significato letterale di parole quali alternativa, desiderio, paura, tradimento, Geova stesso.
Quelle stesse parole sono state travisate, strumentalizzate, violentate, piegate per scopi che poco o nulla hanno a che vedere con le realtà a cui rimandano. Ecco perché tutti i capitoli del romanzo si chiudono con un lemma seguito dalla definizione tratta dal dizionario Treccani. La protagonista, ormai fuori dal giro e dall’influenza del culto, vorrebbe apprendere una «nuova grammatica dei sentimenti»:
Forse è più sano il suo modo di amare ai margini rispetto al mio – monopolizzante, come la mamma, tirannico, come Geova. Ma non so amare diversamente e non so dove si apprende questa nuova grammatica dei sentimenti, chi la insegna, io che sono cresciuta nel concetto del tutto assoluto: il bene, il male, la Verità, il Dio scelto per me.
Per orientarsi fra testo e contesto
Il Dio che hai scelto per me cita esplicitamente un altro volume che si è occupato di un tema analogo. Sto bene è solo la fine del mondo di Ignazio Tarantino (Longanesi, 2014 e poi Bollati Boringhiri, 2015) è ambientato negli anni Ottanta nel Sud Italia. Come per il libro di Martina Pucciarelli, l’autore prende spunto dalla propria vicenda autobiografica. E come per Il Dio che hai scelto per me prova a scandagliare dall’interno le dinamiche che investono una famiglia alle prese con credenze millenaristiche. Entrambi fanno capire che, al di là del folklore di chi continua a suonare i campanelli delle case la domenica o si veste con uno stile anni Cinquanta, i meccanismi di manipolazione e dipendenza psicologica sono tutto tranne che folkloristici.